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Jannie e Bismarck Du Plessis: fratelli nella vita e nel rugby

di Sabrina 2 maggio 2011

Super15. Quello che si gioca nell’emisfero sud è un rugby spettacolare, adrenalinico, di alto livello; sotto certi punti di vista è un rugby molto diverso da quello europeo. Per quello che mi è stato concesso dalle reti televisive, ho cercato di focalizzare la mia attenzione sulle squadre sudafricane per le quali ho sempre nutrito una certa diffidenza dettata da futili motivi: una fisicità quasi estrema nel gioco, una buona dose di furbizia, un senso di superiorità che mi sembrava trasparisse dai loro atteggiamenti. Ho visto pochissimo, quasi niente, ma ho puntato gli Sharks. A parte gli stadi gremiti da una accanita tifoseria, le cheerleader che ad ogni match fanno la sfilata esibendo sotto un mantello nero costumi  e corpi da urlo (per la gioia dei maschietti), a parte il camion che trasporta la piazzola in campo (in Europa abbiamo macchinine o barchette a vela) e che la dice lunga sul loro temperamento, a parte il gioco impattante che basta guardare e ti si frantumano le costole, hanno destato la mia curiosità i due “fratellini” che fanno parte del pacchetto di mischia. Mi riferisco ai Du Plessis. Ho navigato un poco su internet ed ho scoperto qualche curiosità. 

Jannie e Bismarck Du Plessis

Jan Nathaniel Du Plessis, pilone, il maggiore dei due, nato a Bethlehem nel 1982, entrò nel rugby professionale dopo i vent’anni per espresso desiderio della madre la quale voleva che entrambi i figli conseguissero una laurea prima di dedicarsi allo sport a tempo pieno. Jannie si laureò in medicina e cominciò ad esercitare la professione di medico divenendo in seguito uno dei pochi rugbyman ad avere una carriera lavorativa al di là del professionismo sportivo. Esordì come giocatore nel 2006 nei Cheetahs e dal 2008 fa parte degli Sharks. Nel 2007 entrò nella nazionale sudafricana durante il Tri Nations. Mentre si svolgeva la coppa del mondo dello stesso anno venne inizialmente escluso, ma poi chiamato a sostituire l’infortunato BJ Botha. Al momento della convocazione Jannie stava lavorando in ospedale, per la precisione stava praticando un taglio cesareo e partì la mattina successiva ricongiungendosi al fratello Bismarck anch’egli inserito come sostituto di Pierre Spies. Più di una volta Jannie ha prestato soccorso come medico nell’ambito rugbistico. Il 29 marzo 2009 stava accompagnando alcuni giocatori dei Bumbries al loro albergo quando, fuori da una discoteca di Durban dove avevano festeggiato, Shawn Mackay venne investito da un’auto riportando serissime ferite. Jannie prestò la prima assistenza di emergenza garantendone la respirazione e chiamò i soccorsi. Purtroppo Shawn Mackay morì qualche giorno dopo. Nel 2010 dopo un test match con la Francia, durante il terzo tempo, intervenne tempestivamente per salvare un invitato dal soffocamento causato da un boccone rimastogli incastrato nella gola.

Bismarck Du Plessis, nato nel 1984, più giovane di 18 mesi, tallonatore e campione del mondo insieme al fratello nel 2007 con gli Springbocks, esordì come professionista nel 2005 con gli Sharks. Nel corso del Tri Nations 2008 incorse in una squalifica per essere stato a contatto con gli occhi di un avversario: il tallonatore neozelandese Adam Thompson. La commissione disciplinare riconobbe la non volontarietà del gesto, ma gli diede comunque 3 settimane di squalifica. Nel 2009 fece parte dei Barbarians ed a tutto il 2010 il minore dei Du Plessis ha disputato 36 incontri internazionali 22 dei quali da titolare. Bismarck è uno dei migliori tallonatori della Repubblica del Sud Africa: veloce e potente, è un estremo piacere vederlo muoversi sul campo.

I Du Plessis oltre che essere nella stessa squadra sono inseparabili nella vita. Come scherza Jannie in un’intervista rilasciata al Telegraph “la gente dice che siamo come una coppia di coniugi. Siamo cresciuti insieme, giochiamo insieme, insieme abbiamo una fattoria e viviamo insieme”. Inseparabili nella vita come sul campo quando, strettamente abbracciati, formano la prima linea della feroce mischia sudafricana. Uomini che danno tutto di sé durante un match, ma per i quali il professionismo sportivo non è tutto. Come quando il dottor Jannie Du Plessis sfrecciò via dopo l’allenamento con gli Sharks prima di volare a Londra per affrontare i Crusaiders, per precipitarsi in ospedale dove si dedica ai malati di HIV. Per contro Bismarck – detto Bissie (nome sfizioso per questo possente ed affascinante uomo!) – quello stesso giorno si svegliò alle 5.30 per pianificare il lavoro giornaliero alla fattoria, e dopo aver preso accordi con l’ufficio dove lavora come broker assicurativo, si recò alle 7.30 all’allenamento: tre lavori

The Beast, Bissie, Jannie

Ciò ci aiuta a tenerci lontani dai guai – scherza Bissie – nostra madre Jo-Helen era molto severa: ci ha insegnato che prima di tutto dovevamo studiare e il non fare buon uso della laurea sarebbe stato solo una perdita di tempo”.

Jannie è il più estroverso e loquace dei due, ma si imbarazza quando lo descrivono come un uomo generoso e notevole, eppure Bismarck racconta che al giovedì è solito uscire di casa presto per portare vestiti a coloro che sono in difficoltà. Jannie ha un cuore grande: “Le persone che arrivano in ospedale seriamente ammalate di HIV dopo sei mesi, ricevute le cure adeguate, possono condurre una vita normale. E’ appagante pensare di aver contribuito a migliorare la loro vita”. E’ difficile paragonare il buon dottore con il tizio che inveì contro David Pocock durante un match dicendogli “La prossima volta ti rompo il collo!”. Dopo il fatto Jannie era realmente dispiaciuto, telefonò a Pocock per scusarsi  e per entrambi tutto fu dimenticato. In questo sport di brutale contatto fisico le linee di confine sono sottili. Nel bel mezzo della battaglia, quando l’impatto fisico si fa duro e l’adrenalina sale può succedere di andare oltre le righe, l’importante è limitarsi, riconoscere i propri errori e rimediare.

Bissie è fra i due il più imprevedibile e quello più naturalmente dotato, al punto che potrebbe essere nominato il miglior n. 2 del mondo. Egli ammette di fare sempre molto affidamento sul fratello maggiore, anche nel bel mezzo di una mischia. Bismarck racconta che quando era all’università e si stava preparando al debutto nei Cheetahs era timido e stava passando un brutto momento poiché i ragazzi più anziani non lo lasciavano dormire la notte. “Telefonai a Jannie alle 3 di notte – racconta – e lui percorse 50 km solo per venirmi in aiuto. Non risolse la cosa con i pugni, tutt’altro, fece capire loro gentilmente che dovevano lasciarmi in pace. La gente non comprende appieno il tipo di legame che ci unisce, ma crescendo abbiamo passato dei momenti difficili alla fattoria perché nostro padre, Francois, si ammalò di Parkinson; così colui che guadagnava già con il rugby professionistico poteva pagare gli studi all’altro e viceversa”. Si sono formati insieme nella vita, all’università, e poi nel mondo del rugby sino ad arrivare al debutto negli Springbocks che avvenne durate lo stesso match: il 7/7/2007. Ed ora sono entrambi negli Sharks.

E’ una coincidenza che gli Sharks abbiamo una più alta percentuale di vincita quando entrambi i Du Plessis sono sul campo? “Traiamo ispirazione l’uno dall’altro, sappiamo quanto possiamo spingerci lontano” afferma Bismarck.

Jannie e Bissie hanno un sogno. “Papà ha 65 anni, ha il Parkinson e non so quali sono le sue prospettive di vita – dice Jannie – così a Natale abbiamo scritto un desiderio per il 2011: vogliamo che lui possa vederci giocare insieme nella finale della World Cup, sarebbe la ciliegina sulla torta” e noi glielo auguriamo di tutto cuore! “Non vorrei sembrare esagerato – continua Jannie – ma credo che Dio ci ha donati l’un l’altro affinchè potessimo badare l’uno a l’altro” e Bismarck aggiunge emozionato: “E’ il fratello migliore che potessi desiderare”.

Conclusione: è bello sbirciare al di là della facciata, scoprire l’uomo che si cela oltre la prestazione sportiva, conoscere pezzetti di vita che ancora una volta rendono questi uomini grandi e grossi perfettamente normali. Quindi, i fratellini Du Plessis sono “uomini da sposare”? Non so se sono liberi, ma nel caso si accettano candidature. Penso che varrebbe la pena passare il resto della vita a testa in giù.

 

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