Pubblicato in: Rugby

Nuova Zelanda – Inghilterra, il test match finisce 26-16

di Sabrina 12 novembre 2010

Twickenham, uno stadio da urlo. Emozione, già nell’apertura. Quando le due squadre entrano in campo mi assale una strana agitazione e tanta aspettativa. Oggi abbiamo due emisferi a confronto, due mondi diversi. Contrasto anche nei colori: Inghilterra in bianco, Nuova Zelanda… beh, ovviamente in nero. Tradizione, storia, orgoglio, atleti del calibro di Moody, Ashton, Tindall, Cueto (personalmente mi manca Wilkinson), voglia di vincere questo incontro perché è dal 2003 che l’Inghilterra non vince contro gli All Blacks.

La Nuova Zelanda appare un po’ più umana dopo aver perso contro l’Australia, la quale si è guadagnata meritatamente la Bledisloe Cup: ogni tanto anche gli dei devono perdere, che cavolo!

Gli All Blacks entrano guidati dal loro fiero capitano, McCaw: solamente per il cipiglio che ha stampato in viso sembra che abbia fatto del suo ruolo di guida la ragione della propria vita. Quando sento sciorinare i dati tecnici dei componenti delle squadre le mie speranze di considerarli umani si sgretolano definitivamente Gli inglesi, infatti, schierano un pacchetto di mischia che supera i 900 kg, la loro forza, ed io per riflesso sento dei dolorini alla schiena. Per contro gli uomini in nero hanno delle retrovie che sfiorano o superano i 100 kg a testa (Ma’a Nonu, Rokocoko, Muliaina, la new entry Sonny Bill Williams) in pratica dei tir a pieno carico che al solo pensiero di trovarseli addosso in velocità viene voglia di fuggire più veloci della luce.

E poi la Haka, versione Ka Mate, quella che si ripete ad ogni inizio partita. Mani che battono violentemente petto, gambe e avambracci, voce, lingua, occhi, un saggio di potenza e coraggio volta ad intimidire e sfidare l’avversario e che oggi va a cozzare contro il muro di forza e grinta degli inglesi. La Haka mi affascina, mi cattura questo fronteggiarsi prima del contatto fisico.

Da che parte sto? Tifo Inghilterra perché è troppo scontato tifare i guerrieri in nero, anche se il cuore vola da ambedue le parti per ragioni diverse.

Il fischio dell’arbitro, ed è subito dinamismo, azioni di gioco che si susseguono ad un ritmo forsennato, con una velocità ed una bravura da ambo le parti che lascia senza fiato. Nei primi venti, venticinque minuti la Nuova Zelanda segna due mete splendide, ma gli uomini della rosa non si lasciano intimidire. Durante la prima mezz’ora mi accorgo  di trattenere il fiato nel vero senso della parola: se vado avanti così per il resto della partita alla fine andrò in debito di ossigeno ed avrò dei seri problemi.

Gli All Blacks sono una marea inarrestabile, ma gli inglesi non sono da meno e reggono il loro ritmo asfissiante con valore, non riuscendo comunque a creare una breccia nella difesa neozelandese. Alla fine del primo tempo, dopo tutti quei placcaggi e quei mucchi disumani in cui non capisco più a chi appartengano gambe e braccia, in cui faccio una fatica boia a vedere dove sia la palla, mi sorge un quesito: come fanno a non ingoiare o a sputare il paradenti?

I minuti scorrono, le tifoserie incitano ed incalzano. E’ una partita magnifica il cui ritmo travolgente cattura e fa accelerare il battito cardiaco; bravura, potenza ed eleganza tanto da non sapere da che parte stare. Le mischie si affrontano più di una volta: le schiene sopportano un peso spaventoso, le gambe spingono, i tacchetti artigliano il terreno sollevando zolle di terra. Nasce qualche baruffa subito sedata, più tardi, negli spogliatoi, gli stessi uomini scherzeranno e si divertiranno insieme.

Gli inglesi guadagnano punti grazie ad alcuni calci contro l’avversario, e più di una volta arrivano a un filo dalla linea di meta e lì lottano per un tempo che sembra infinito con una grinta encomiabile ed io soffro con loro. Mi viene la voglia di dargli una mano perché se lo meritano, ma forse ne uscirei fuori più sottile che una piadina. Ma i neozelandesi sono dei diavoli furbi e quel Richie McCaw sembra essere in cielo, in terra ed in ogni luogo.

Infine Dylan Hartley riesce a piazzare l’ovale oltre la linea: la meritata meta arriva anche per l’Inghilterra.

L’incontro termina 16 a 26 per la Nuova Zelanda e quasi mi dispiace che la partita sia finita, perché vederli giocare è stato una spettacolo straordinario.

Laggiù, sul campo d’erba,  i guerrieri sono ritornati umani; sono uomini ora stanchi, ammaccati, provati, alcuni felici altri delusi, ma pur sempre uomini.

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