Pubblicato in: Senza categoria

Chi ha visto Murdock?

di Sabrina 26 ottobre 2012

Keith Murdock, All Black n. 686. Pilone. Una delle figure più controverse, enigmatiche e tragiche della storia del rugby. Un uomo introverso, problematico, non avvezzo alle regole, il cui fisico imponente – 110 kg – in un’epoca in cui anche i rugbisti non erano avvezzi a sessioni di pesistica, ne faceva un potente uomo di mischia sebbene estremamente mobile.

Keith Murdock

L’uomo che nel 1972 durante il tour degli All Blacks in Gran Bretagna realizzò la meta decisiva contro il Galles all’Arm Parks di Cardiff portando i Tuttineri al successo. Ma lui, uomo tutto d’un pezzo, non regalò neppure un sorriso anche in quell’occasione e forse, con il senno di poi, dietro questa apparente stoicità risiede tutta la sua tragedia.

Proprio la sera di quel lontano 1972, la sua vita subì una drastica svolta. Durante una festa ad alto tasso alcolico all’Angel Hotel fu coinvolto in una rissa: due giorni dopo venne espulso dal tour e dalla squadra. Per sempre. Privato anche del simbolo della felce sulla giacca, Murdock prese l’aereo per tornare in Nuova Zelanda, ma non tornò mai più in patria. Sbarcò a Singapore e da lì raggiunse l’Australia dove sparì  nel bush australiano.

Orgoglioso. Offeso. Umiliato.

Murdock – All Blacks 686

Non lasciò mai traccia di sé se non qualche sporadica e breve notizia, mai certa. Non presenziò neppure al funerale della madre alla quale era legatissimo. Il resto della sua vita, dopo il triste episodio, è avvolto nell’oscurità. L’ultima notizia che si ha di Murdock riguarda l’omicidio di un giovane aborigeno per la quale Murdock è stato chiamato a testimoniare, ma il caso non è stato ancora risolto.

Non posso credere che la sua esplusione dalla mitica squadra dei Tuttineri possa essere l’unico motivo di una scelta così drastica e tragica. Mi chiedo invece, con profonda tristezza, cosa sia scattato dentro di lui per agire in tal modo. Quanto disagio, sofferenza, ribellione covavano in lui? Ho la certezza che quell’episodio sia stato come l’ultimo colpo inferto alla sottile barriera che lo separava da un futuro incerto ed oscuro in attesa da tempo o forse a quel punto della sua vita ha scelto di percorrere una strada che solo lui vedeva e che lo liberava da un fardello troppo gravoso che Murdock non riusciva più a sopportare.

Ci sono momenti nella vita di ognuno in cui siamo obbigati a scegliere; momenti di enorme dolore in cui basta una piccola azione, una parola per cambiare il corso della nostra esistenza, nel bene o nel male. Perché in un battito di ciglia sono racchiuse infinite possibilità, mille futuri, mille noi diversi.

Ci sono sofferenze delle quali solo noi conosciamo l’entità, che solo noi abbiamo il diritto di gestire. Ma ci sono anche la solitudine ed i fantasmi di un passato che solo noi conosciamo. Il bisogno di sparire di Keith Murdock, di rendersi invisibile agli occhi del mondo pur continuando ad esistere in mezzo a miliardi di esseri umani, è come annientarsi,  un gesto dettato dal dolore per autoinfliggersi una sofferenza eterna… oppure darsi una possibilità di rinascita.

Non lo sapremo mai perché lui non ci racconterà mai la sua storia, non ne ha bisogno. E quando, alla fine, se ne andrà veramente da questo mondo anche allora non lo sapremo mai. Le tracce che lascerà del suo passaggio sulla Terra saranno le impronte di un potente uomo di mischia che si allontana verso un futuro sfocato ed ignoto. Solo.

Altre storie di sport sullo stesso argomento

I commenti sono chiusi.